Nasce nel 1956 a Cormòns, paese rurale ubicato nel Nord Est Italia.
Autodidatta, sin dagli anni '70 cerca una propria ed autonoma via d'espressione artistica.
Partito da presupposti post impressionisti, viene folgorato sulla via di Damasco dallo studio delle opere di Jackson Pollock prima e di Alberto Burri in seconda battuta. Inizia un lungo viaggio sulla strada della sperimentazione materico cromatica, che lo porterà - nell'arco di tutti gli anni '80 e '90 - a provare radicali soluzioni tecnico espressive con la materia, ma soprattutto sulla materia, divenendo maestro provetto nell'uso di resine, di colle, nonché di impasti eterogenei. La tela - intesa come superficie - talora viene usata, talaltra no, a seconda delle finalità perseguite e delle atmosfere volute. Tale ricerca lo fa approdare al fecondo periodo dei poliuretani, dove la sperimentazione lo porta alla negazione tanto del colore - nel caso dei poliuretani monocromi - quanto a quello della materia - nell'esempio dei poliuretani appena appena scalfiti o impercettibilmente offesi nella propria integrità di superficie. Per Spessot si tratta semplicemente di un viatico, di un'elaborazione alla ricerca d'una via autonoma, di sintesi ed equilibrio.
"Sintesi ed equilibrio - afferma l'artista - che io ho iniziato a trovare proprio con la serie degli Omini, dove ho potuto pienamente applicare le mie cognizioni cromatiche sulle superfici a me più consone".
In questa serie di opere, Spessot stabilisce un contatto immediato con la committenza attraverso l' escamotage di questa figura pseudo antropomorfa, senza però rinunciare alla forza del suo incedere cromatico cosiccome materico. L'omino concede all'immaginifico spessotiano, gli dà modo d'affrontare le opere con una certa verve ironica, con un gusto morigerato per la denuncia di una umanità per lo più vacua e passiva, poco incline all'approfondimento.
Ma, allo stesso tempo, Spessot rivolge la medesima ironia verso se stesso, poiché consapevole di essere egli stesso parte integrante di un mondo che è superficiale quanto profondo, standarizzato quanto eccentrico.
Gli Omini, nelle sue opere più recenti si sono dissolti e ispessiti in turbinanti congestioni policrome, come allacciati e frammisti in frenetiche danze. Grondano, serpeggiano, scivolano non soltanto sulle tele a tecnica mista, ma sulle superfici di lampade, tavoli, pupitre (le assi lignee impiegate per raccogliere bottiglie di vini doc), sculture totemiche in ferro e in vetro. Dispiegati sopra le pareti vitree delle damigiane intrecciano annodature policrome evocanti motivi vegetali e geometrici o viluppi di tentacoli di polipi dai grossi occhi, snodati sui vasi minoici emersi a Creta dalle rovine dei palazzi di Cnosso e Festo o della reale Villa di Haghia Triada. Immagini impressionisticamente profilate, tinte chiare e luminose o misteriosamente notturne, contorni stilizzati e compenetrati. Il loro andamento irto e ondulato alterna toni scintillanti e notturni, cupi e festanti, che visivamente deformano le simmetrie come se fossero viste nella trasparenza dell'acqua.
In collaborazione con l'orafo Claudio Fontana, l'arte di Spessot diventa gioiello: oro, argento e diamanti irradiano un arcano fascino barbarico, una strana remota bellezza esotica, un incantamento lunare.
Mai vincolato da correnti, gruppi o tendenze, oggi Silvano Spessot inizia a godere dei frutti di tantissimi anni di non facile lavoro, di un contesto di piena serenità e giusta consapevolezza.
Il tempo, galantuomo, non potrà far altro che ratificare questa nostra impressione.
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